in

Storia di un pilota e del suo ultimo traguardo in Formula 1: #GraciasFernando


Lo scorso 25 novembre Fernando Alonso ha tagliato il suo ultimo traguardo in Formula 1 dopo un toccante giro d’onore scortato da Lewis Hamilton e Sebastian Vettel. L’ho visto esordire poco più che ragazzino, battere Michael Schumacher e la Ferrari, giocarsi Mondiali fino all’ultima gara e finire risucchiato in anni orribili funestati da zeri in classifica. Ho mal sopportato vedere un campione che ammiravo finire per diventare una macchietta da meme, le cui azioni in pista maggiormente degne di nota erano limitate ai team radio; così, quando ha annunciato che avrebbe tentato la conquista della Triple Crown, mi è venuto solo da dire “Bene, era ora!”

Non voglio entrare nel merito del suo carattere, delle sue scelte personali e professionali, del suo atteggiamento: non conosco niente di tutto ciò. Credo che nessuno conosca davvero un pilota di Formula 1, quanto pesino i suoi pensieri o cosa gli faccia battere il cuore, ma credo pure che uno scrittore con la giusta sensibilità riuscirebbe a colmare questa lacuna, riempiendola con le proprie parole, provandoci con rispetto e pudore; senza alcuna pretesa di indovinare o di effettuare una trascrizione fedele, ma solo per il piacere di scrivere un bel racconto. Quando ho assistito a quel giro d’onore ho deciso di provarci anch’io.

Questa è la mia storia, dunque. Parla di un pilota e del suo ultimo traguardo in Formula 1.

“Me lo immaginavo diverso questo traguardo!”

No, non si tratta di un esordiente, di un giovane neofita che ha esperienza solo al simulatore, il quale, non avendo mai girato dal vero su un circuito sconosciuto, sente il fremito dell’agonismo in ogni centimetro di pelle ma nulla può contro l’emozione delle prime volte. Nel resto del mondo – quello che non è Formula 1 – il nostro pilota sarebbe uno che ha ancora tutto da dimostrare e un avvenire incerto da affrontare, ma sotto il tendone tecnologico del Circus è ormai un veterano, uno che ha già dato. Uno che se ne va. Quel traguardo, tracciato con asettica svogliatezza in un bello scatolone di sabbia che trasuda denaro, lo conosce bene, non solo perché appartiene a un circuito su cui ha girato molte volte, ma soprattutto perché gli è stato fatale, in passato.

Stavolta, però, si tratta del suo ultimo traguardo in Formula 1 e al pilota pare quasi di percepire attraverso il sedile il momento esatto in cui la sua monoposto vi transita sopra, quasi che stesse valicando un dosso e non un’impercettibile striscia bianca dipinta. È un traguardo umano, professionale, per certi versi storico; un traguardo fatto di trofei, titoli, punti ma anche di un complesso sentire reciproco, vale a dire quel che banalmente si definisce come il ricordo di sé che si lascia nel paddock. Trofei, titoli, punti e ricordi: sarebbero potuti essere migliori, sarebbero potuti essere di più.  Ma non è solo per questo che quel traguardo il nostro pilota se lo immaginava diverso.

C’è aria da ultimo giorno di scuola laggiù, nell’avveniristica cattedrale nel deserto stracolma di partecipanti al rito conclusivo del culto pagano della Formula 1. Fra scambi di caschi, interviste celebrative e festeggiamenti più o meno sobri, il clima di aspro agonismo, di duro confronto se non di aperta inimicizia sembra essere sopito, mandato in letargo dall’anticipata assegnazione dei trofei in palio. Era diverso quando ero anch’io della partita – pensa il pilota, fuggevolmente, mentre percorre la sua strada attraversata dai flash di fotografi. Già: era diverso non tanto perché i campionati restavano aperti fino all’ultima gara, quanto piuttosto perché c’ero. Ero là davanti, là in mezzo. Non un ospite che si invita alle conferenze stampa che contano per deferenza, ma uno dei protagonisti. Era il suo sogno da bambino e l’aveva realizzato, ma quell’ultimo traguardo se lo immaginava diverso.

Le luci sfarfallano sulla livrea celebrativa e gli accarezzano il casco durante il giro d’onore. La mente gli torna alle tribune festanti, laggiù in Brasile, una vita fa; al calore delle lacrime di Valencia, le uniche che furono in grado di batterlo, quel giorno, o alle grida di Monza. Poi ricorda il tormento di tutti i campionati trascorsi all’inseguimento, combattendo contro una monoposto scontrosa prima che con avversari ai quali filava tutto liscio, ai primi giri miracolosi e a come sarebbe stato se  di quei miracoli non avesse mai avuto bisogno, perché – magari – avrebbe potuto partire sempre davanti. Lo smarrimento sordo di trovarsi indietro all’ultima gara, l’amaro sapore dell’impotenza, il peso delle sconfitte, che sono tali anche se arrivi secondo a un punto. L’ostinazione nel voler restare, nel voler tenere alta la propria bandiera, nel dimostrare che non si ha bisogno di una macchina blasonata per essere uno dei migliori, il migliore: lui non ce l’aveva avuta quasi mai la macchina migliore, eppure era riuscito a battere perfino l’Uomo dei Record e la sua Ferrari. Ma i suoi record se li prenderà un altro, mentre un altro ancora si è preso la sua Ferrari. Davvero, se l’immaginava diverso quell’ultimo traguardo.

Ed eccoli lì, in curva 8. Lo aspettano perché vogliono essere la sua scorta, allungando ancora un po’ quel suo ultimo traguardo in Formula 1. Non sono più la sua nemesi nera e la sua nemesi bionda, quei due che si sono spartiti i suoi punti, i suoi titoli, i suoi record, il suo ricordo indelebile che si lascia nel paddock, ma due compagni, due pari che gli riconoscono l’onore delle armi. Qualsiasi cosa abbia mai pensato di loro. Qualsiasi cosa abbia mai detto su di loro. Il suo cuore si appesantisce, gonfio. Pensa a quella lotta perenne che è stata la sua Formula 1 e al fatto che, a via di combattere per dimostrare agli altri chi era e cosa era in grado di fare, ha rischiato di perdere di vista quel che a lui piaceva fare davvero e che gli riusciva bene: racing, ‘cause racing is life.

Quando toglie il casco ha gli occhi lucidi. Quei due sono ancora lì ad aspettarlo, lo cercano, vogliono abbracciarlo. Ci sono la folla, i flash, le televisioni. Se l’era immaginato diverso quell’ultimo traguardo, in tutti i sensi, ma… Ma ora basta. Non è più tempo di vagheggiare i vecchi traguardi, ma di trovarsene altri da tagliare.

P.s.: buona fortuna, Fernando. Arrivederci.

#GraciasFernando

[embedded content]


Tagcloud:

EuroLeague – Pianigiani: “Condannati da piccoli errori soprattutto nel secondo quarto”

Italia – Sacchetti “Vinto con la buona mentalità per non mollare mai”