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Ciclismo, Marangoni; prima vittoria proprio all'ultima gara: “Le favole esistono”

ROMA – L’ultima volta, l’ultima gara, gli ultimi 210 km di un carriera lunga 11 anni. L’ultimo scatto. Il vuoto misurato in respiri, il tempo per esultare. La prima vittoria. “Una favola” che Alan Marangoni ha vissuto sull’isola di Okinawa, tutto solo, stretto nella maglia della Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini. 135mila km, 714 giornate di corse alle spalle e il giorno che contava, e i metri che contavano, erano gli ultimi.

Fuori tempo massimo o quasi, Marangoni.
“Non so come spiegarlo, ma questo Tour di Okinawa per me vale come un campionato del mondo. Non c’erano fenomeni al via, ma lo stesso l’emozione di vincere è stupenda. La conosco adesso. Me ne accorgo adesso”.
Triplo giro della circonferenza terrestre prima di alzare le braccia: cosa si prova?
“Quella di un bambino che dopo 25 anni in bicicletta e 34 di vita scopre che è davvero bello. Il ciclismo è bello. E la vittoria non è mai stata un’ossessione per me. Ma volevo riuscirci, provarla”.
Carriera in grandi squadre, sempre gregario, mai una gioia personale.
“Infinite gioie, lo stesso, come squadra. Ci arrivai a un passo al Giro 2015, tappa di Forlì, quarto su quattro della fuga dietro Boem, Busato e Malaguti. Lunghe fughe sempre o lunghe tirate per i compagni. Andare a fondo, spianare la strada per i vari capitani che ho avuto, da Sagan in giù, e poi mollare. Ci vuole una testa formidabile”.
La 714ma gara è stata quella giusta.
“Okinawa, ieri: partenza alle 6 del mattino, come nel ciclismo eroico, motivi di traffico. Io l’unico italiano al via, lo scatto nel momento giusto, finalmente”.
Il ritiro nel momento più bello: magari ci ripensa?
“No, no, è il momento giusto, adesso inizia una nuova carriera per me, lancerò una webtv sul ciclismo, a metà dicembre saprete tutto”.
Cos’è stato il ciclismo per lei?
“Uno stile di vita e una scoperta continua. Ho viaggiato tantissimo, ho visitato un’infinità di paesi, ho conosciuto tante culture diverse. Ho scritto molto, anche, mi sono divertito a raccontare le mie corse e i luoghi. Ai ragazzi che oggi badano molto alle prestazioni e ai watt dico di godersi di più il privilegio unico che la bicicletta può offrire. Certo i risultati sono sempre più importanti e ogni anno ormai, anche a causa dei nuovi regolamenti Uci, tantissimi ragazzi restano appiedati. Ma non bisogna mai perdere l’istinto del viaggiatore, la voglia di scoprire e di divertirsi. Questo mi ha insegnato la bicicletta”.
Lei è romagnolo come Pantani, Cassani, Roberto Conti. La via romagnola al ciclismo ha dentro una poesia e un romanticismo unici, non trova?
“Sì, vero, noi viviamo con estrema passionalità tutto quello che facciamo. Ci piace vivere senza risparmio le nostre fatiche e le cose belle della vita. Con una vena allegra e anche malinconica, al tempo stesso. Ma ora mi volto indietro e vedo solo il bello, la fatica è dimenticata, l’immensa fatica fatta in tutti questi anni. Finire così. Le favole esistono”.
 


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml


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